venerdì 28 marzo 2014

MOBBING: MANSIONI SUPERIORI -DANNO BIOLOGICO - DANNO ESISTENZIALE


Un'importante sentenza della Corte di Appello di Perugia emessa in data 22.10.2013 evidenzia gli elementi probatori da utilizzare in fase istruttoria in ipotesi di richiesta di riconoscimento di un inquadramento superiore.
Pertanto oltre a produrre il Contratto Collettivo di categoria in cui viene esplicitamente elencato il livello richiesto e conseguentemente le mansioni espletate dal ricorrente, lo stesso deve in ricorso ed in fase probatoria sia con l'ausilio di testi sia con l'ausilio documentale provare le modalità di svolgimento delle mansioni superiori richieste e svolte.
Laddove la richiesta di riconoscimento di mansioni superiori sia connessa ad una richiesta di riconoscimento di mobbing, la Corte d'appello ha precisato che il risarcimento biologico chiesto ed ottenuto ricomprende anche il danno morale, mentre il danno esistenziale necessita di una rigorosa prova.
La Corte d'Appello di Perugia ha precisato:" poiché le mansioni in relazione a cui il lavoratore rivendicava un superiore inquadramento potevano astrattamente rientrare in diverse qualifiche, a seconda che le stesse fossero state svolte in maniera più o meno complessa, egli avrebbe dovuto illustrare - oltre alla declaratoria contrattuale del livello richiesto e alle mansioni esercitate - anche le modalità di svolgimento delle medesime, provando la gradazione e l'intensità dell'attività espletata, in termini di responsabilità, autonomia, complessità e coordinamento; il lavoratore aveva lamentato di aver subito, a causa di mobbing, un pregiudizio biologico, morale ed esistenziale, ma il ristoro per l'eventuale danno morale era, in ogni caso, già ricompreso nell'importo erogato, in suo favore, a titolo di risarcimento del danno biologico sulla scorta delle tabelle elaborate dal Tribunale di Roma. Il dedotto danno esistenziale, invece, sarebbe potuto rilevare, ai fini della personalizzazione del danno biologico, soltanto se fosse stato rigorosamente provato".

giovedì 27 marzo 2014

UN CASO CONCRETO : QUOTA DELLA PENSIONE REVERSIBILITA' EX CONIUGE

TIZIA, moglie divorziata di CAIO, deceduto , agiva in giudizio nei confronti di MEVIA, moglie superstite, per ottenere il riconoscimento del proprio diritto ad una quota della pensione di reversibilità e del trattamento di fine rapporto, traenti origine dal rapporto di lavoro di CAIO.
Il Tribunale in primo grado, determinava la quota spettante al coniuge divorziato della pensione di reversibilità nella misura del 70% e quella spettante al coniuge superstite nella misura del 30%, sulla base della maggior durata del primo matrimonio,  rispetto a quella del secondo matrimonio; rigettava la domanda di Tizia diretta ad ottenere da Mevia la restituzione delle somme relative alla pensione di reversibilità percepite in misura superiore a quella spettante alla moglie superstite; riconosceva il diritto di Tizia  ad una quota del trattamento di fine rapporto dell'ex coniuge nella misura del 40% dell'indennità totale corrisposta a Caio, e condannava la Mevia,  al pagamento della predetta quota .
Avverso la sentenza di primo grado Mevia proponeva appello.
La Corte d'appello,  respingeva l'appello .
Mevia ricorreva per cassazione che in accoglimento del solo secondo motivo di ricorso, cassava la decisione impugnata rinviando alla Corte d'appello in diversa composizione, per l'applicazione del principio di diritto enunciato e per la disciplina delle spese processuali, incluse quelle pertinenti al giudizio di cassazione.

Il giudizio veniva riassunto  e la  Corte d'appello,  determinava nella percentuale del 60% del totale la quota della pensione di reversibilità derivante dall'attività lavorativa prestata dal defunto  da attribuire alla moglie divorziata Tizia, e nel 40% la quota della medesima pensione da attribuire alla moglie superstite Mevia.
Nello specifico, la Corte del merito, premesso il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, ha ritenuto di dovere procedere al complessivo riesame degli elementi correttivi del criterio meramente temporale della durata dei matrimoni, al fine dell'equa ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite.

Tanto premesso, la Corte  del merito ha rilevato che le prove documentali legittimamente acquisite nel corso del giudizio di merito consentivano di ritenere provate le seguenti circostanze: la durata molto modesta dell'effettiva convivenza tra Tizia e Caio; la relazione affettiva tra il Mevia e Caio, documentata ; l'attribuzione a Tizia, con la predetta sentenza di scioglimento del matrimonio, dell'assegno di divorzio ; le diverse condizioni reddituali della moglie divorziata rispetto a quella superstite, essendo Tizia sprovvista di redditi propri e Mevi, . titolare di propria pensione ed inoltre proprietaria di alcuni beni immobili.

Valutato quindi, con la doverosa ponderazione, insieme alla durata legale dei due matrimoni, anche il tempo dell'effettiva convivenza i Tizia con Caio, di fatto inferiore a quello della relazione affettiva dello stesso Caio. con la Mevia.; valutato l'assegno di divorzio riconosciuto a Tizia ed il divario economico esistente tra le due mogli a favore della prima, priva di redditi autonomi, la Corte del merito ha temperato il criterio della durata legale dei due matrimoni con i parametri costituiti dalla maggiore durata dell'effettiva convivenza con la Mevia  e dell'entità dell'assegno divorzile, ed ha ritenuto equo attribuire alla moglie divorziata, priva di redditi propri anche in precarie condizioni di salute, una quota pari al 60% della pensione di reversibilità ed alla moglie superstite, la quota del 40% della medesima pensione.
Ricorre avverso detta pronuncia Mevia, sulla base di quattro motivi.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia "infedele esecuzione da parte del giudice di rinvio del principio di diritto enunciato dalla S.C. con la pronuncia di annullamento ed omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia- Violazione dell'art. 384 c.p.c. in relazione all'art.9 l. 898/70(art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.)" Secondo la ricorrente, il Giudice del rinvio ha solo operato il parziale riesame delle prove documentali; la Suprema Corte aveva affermato la rilevanza dell'ammontare dell'assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso e dell'esistenza del periodo di convivenza prematrimoniale, ritenendo assorbite le censure sulla statuita inammissibilità delle prove; la Corte del merito è tornata a fondare la decisione sugli stessi elementi già considerati dalla sentenza annullata, mentre avrebbe dovuto considerare la proporzione esistente tra lo stipendio di Caio , e l'assegno divorzile di Tizia., priva di altre fonti di reddito, e, in secondo luogo, i diversi tenori di vita goduti dalle parti prima del decesso, che  aveva costituito con la Mevia una comunione materiale oltre che spirituale; avrebbe dovuto altresì verificare l'esatto ammontare della pensione di Caio  alla data delle nozze con la Mevia, accertare il tenore di vita goduto da dette parti, e quindi determinare la percentuale della pensione di reversibilità spettante a Tizia, in ragione dei caratteri solidaristici della pensione stessa, dei principi di uguaglianza sostanziale e solidarietà sociale, di quanto statuito dalla Corte cost. con la sentenza 419/99 e dell'intento del legislatore, di cui alla L. 898/1970.


La  Corte, nell'accogliere il secondo motivo del ricorso di Mevia , respinti gli altri, ha enunciato il principio di diritto, al quale avrebbe dovuto attenersi il Giudice del rinvio, richiamando la propria precedente giurisprudenza in relazione alla ripartizione del trattamento di reversibilità in caso di concorso tra il coniuge superstite ed il coniuge divorziato, aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, e specificamente indicando che tale ripartizione "deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata del rapporto matrimoniale (ossia del dato numerico rappresentato dalla proporzione fra le estensioni temporali dei rapporti matrimoniali degli stessi coniugi con l'ex coniuge deceduto) anche ponderando ulteriori elementi, correlati alle finalità che presiedono al diritto di reversibilità, da utilizzare eventualmente quali correttivi del criterio temporale; fra tali elementi, da individuarsi nell'ambito della l. n. 898 del 1970, art.5, specifico rilievo assumono l'ammontare dell'assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell'ex coniuge, nonché le condizioni dei soggetti coinvolti nella vicenda, e in quest'ottica, e al solo fine di evitare che l'ex coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per mantenere il tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l'assegno di divorzio, ed il secondo coniuge il tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato in vita, anche l'esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge potrà essere considerata dal Giudice del merito quale elemento da apprezzare per una più compiuta valutazione delle situazioni”.

Il S.C. ha pertanto annullato la sentenza della Corte d'appello per non essersi uniformata a detto principio .

martedì 25 marzo 2014

LA SOPRAVVENUTA CONVIVENZA MORE UXORIO INCIDE SULLA VALUTAZIONE DELL'ASSEGNO DIVORZILE

La Suprema Corte con sentenza 18.11.2013 n° 25845 introduce un ulteriore principio di diritto sulla valutazione dell'assegno divorzile cha va ad incidere sul concetto di "adeguatezza dei mezzi" rispetto al tenore di vita goduto.
L'art 5 della legge n.898/70 sancisce l'obbligo a carico di un ex  coniuge di fornire un assegno mensile a favore dell'ex conige più debole che non dispone di mezzi adeguati o comunque è oggettivamente impossibilitato a procurarseli.
Preme far notare come ogni espressione adoperata dal legislatore sia oggetto di interpretazione sia estensiva che restrittiva. E' normale chiedersi cosa debba intendersi per mezzi adeguati e quali debbano essere i parametri interpretativi del concetto di adeguatezza; le medesime considerazioni dobbiamo formulare per la identificazione di soggetto "impossibilitato a procurarsi" gli adeguati mezzi di sostentamento.
Ed infatti, un' interpretazione estensiva viene formulata dalla Cassazione laddove impone di valutare l'adeguatezza dei mezzi anche in connessione con una ipotesi di convivenza more uxorio dell'ex coniuge, laddove la suddetta assuma i requisiti della stabilità, continuità e regolarità tale da consentire un sostegno economico.
Domanda cosa accade se la stabilità del rapporto more uxorio non comporta necessariamente un sostegno economico, inciderebbe sulla valutazione dell'assegno divorzile? 
A chi comporterebbe provare la non incidenza sul concetto di adeguatezza dei mezzi ?
L'onere sempre alla parte più debole del rapporto.